Primi aiuti di Moses Onlus al popolo birmano
Tham Hin e altri campi
I campi profughi provvisori per i migranti birmani, che si trovano sul territorio thailandese lungo la frontiera con il Myanmar, ospitano circa 160-170.000 persone.
Questi campi esistono da circa vent’anni e hanno visto intere generazioni vivere, nascere e crescere senza conoscere altre realtà che non fossero quelle del campo stesso, prive dei mezzi anche solo per immaginare il futuro, figuriamoci per progettarlo.
All’interno di questi campi provvisori operano diverse ONG internazionali che attraverso finanziamenti esteri forniscono uno standard di vita minimo alle persone residenti.
Nel luglio 2006 i volontari di Moses visitano il campo provvisorio di Tham Hin incontrando i rappresentanti del settore scolastico e gli insegnanti, accordandosi con il responsabile del campo, decidono di finanziare – attraverso i canali ufficiali e su consiglio dei funzionari UNHCR – la fornitura e l’installazione di filtri per l’acqua a uso delle zone scolastiche. Questo piccolo intervento è stato il primo marginale contributo a favore delle comunità di profughi birmani che vivono rinchiusi nei campi “provvisori” da più di quindici anni.
Nella visita effettuata nel Novembre 2006 nel Campo Ban Mai Nai Soi sono stati effettuati incontri tesi a valorizzare e sostenere l’impegno delle persone coinvolte in attività rivolte alla comunità: personale scolastico, insegnanti e soprattutto alle componenti del “Comitato di difesa delle donne” data l’importanza dell’opera compiuta nell’assistenza, nel sostegno e nel conforto per le vittime di violenza domestica o di genere.
- Un nodo alla gola che sale, nella percezione di trovarsi in un universo di anime senza libertà.
- Un girone infernale del quale non s’ immagina alcun peccato che ne giustifichi la presenza: “sguardi senza speranza” vagano in spazi ristretti sovraffollati dalla presenza massiccia di altri esseri umani.
- Sentirsi invasi dalla malinconia nel comprendere che qui tutti i bambini più piccoli di quindici anni sono venuti al mondo in cattività e cresciuti senza alcuna attesa, aspettativa, desiderio o sogno.
- Sentirsi partecipi dell’inevitabilità del respirare un’aria il cui odore mefitico colora la vista di grigio.
- L’atteso fuoriuscire di acqua color fango, che inaspettatamente produce nelle donne l’orgoglio della propria cura e igiene personale.
- La volontà di un insegnante di far conoscere il mondo su un planisfero, disegnato con cura con un gessetto su una lavagna, dove però nessun puntino costituirà mai meta per alcuno.
- Il capire che la costante presenza della sofferenza e la sua l’accettazione trasformano “l’aria dell’ospedale” nell’unica medicina.