La notizia del terribile terremoto italiano è arrivata anche nella giungla Kayin e nel Rakhine State, in Myanmar e, come per il terremoto emiliano di quattro anni fa, il sentimento sincero di affetto e di condivisione si è fatto sentire immediato e spontaneo nelle comunità e nelle Scuole di Moses.
Non possono, i nostri bimbi lontani, raccogliere denaro o mandare aiuti tangibili, sono talmente poveri.
Ma con sentimento vero si sono ritrovati tutti insieme a pregare, alla luce delle loro semplici candele, e hanno acceso il loro cuore per altri cuori lontani di amici sconosciuti.
Le fiamme di centinaia di candele hanno rischiarato la notte in realtà remote di un calore antico: il calore del volersi bene.
A U Way Klo, le maestre di Moses hanno preparato cartelli con la voce dei loro cuori: “Rejoice with those who rejoice, weep with those who weep” (Gioite con chi gioisce, piangete con chi piange) ha scritto la nostra Preside, ispirandosi a San Paolo che scrive ai Romani. Parole semplici e vere, parole che nascondono l’empatia sincera di chi, aiutato nel bisogno, vorrebbe contraccambiare, restituire, essere presente in questi giorni di dolore comune a tutta l’Italia.
Nei volti dei nostri bimbi si vede l’autenticità del gesto e la sua purezza. Sono sicura che gli Angeli dell’Appennino hanno sentito quest’amore che li rinfranca durante il loro viaggio verso l’eternità e chi è rimasto, lottando tutti i giorni con un futuro ignoto, potrà sentirsi meno solo.
Da Sho Me e da Sain Din in Rakhine State, due piccole scuole di Moses sperdute sul fiume Lemro, poche le parole traducibili nella nostra cultura, ma molti piccoli volti eloquenti che non hanno bisogno di didascalie.
Perdere tutto è il timore di ognuno anche qui, nelle nostre terre, e non diventa meno doloroso se non si possiede nulla. Ricordo il volto di Rya, responsabile della Scuola di U Way Klo e ora madre novella del suo quarto bimbo, il piccolo Saw Moses, quando l’esercito le bruciò casa e villaggio e, costretta alla fuga, per salvare almeno la vita dei suoi bambini, era seduta sul fiume, senza una parola, con gli occhi umidi e lontani mentre aspettava il futuro.
La vita continua, negli occhi di chi amiamo, continua con la forza dell’amore di chi ci vuole bene, continua in questi volti di sfollati che hanno perso la loro casa, la loro identità, ma lottano ancora, credendo nel domani.
Un piccolo dono da lontano, per ricordare a tutti quanti di credere, credere forte che un avvenire migliore ci sta sempre… e ancora… aspettando.
Patrizia Saccaggi